pubblicato su
October 3, 2025

Budget, buyout e boosting: cosa plasmerà l’influencer marketing in Germania nel 2026

Il Managing Director dell’agenzia berlinese theMAKagency, Mohammad Al-Kurdi, condivide la sua visione sull’aumento dei budget, le strategie community-first, l’impatto dell’IA e l’equilibrio tra performance a breve termine e fedeltà al brand a lungo termine.

TheMAK Agency: tendenze dell'influencer marketing 2026
TheMAK Agency: tendenze dell'influencer marketing 2026

I budget per l’influencer marketing stanno crescendo, i KPI stanno cambiando e i confini tra branding e performance diventano sempre più sfumati. Dall’importanza crescente delle community e delle partnership di lungo periodo, al ruolo dell’intelligenza artificiale nella scalabilità delle campagne, Mohammad Al-Kurdi, Managing Director di theMAKagency a Berlino, offre la sua prospettiva su come le marche dovrebbero allocare i budget, quali KPI contano davvero e perché saranno i legami comunitari — e non la mera reach — a definire il futuro dell’influencer marketing.

Come evolveranno i budget di influencer marketing nel prossimo anno?

Mi aspetto che i budget crescano ancora l’anno prossimo. Guardando allo sviluppo dal 2024 al 2025, è già stato destinato quasi il 30% in più all’influencer marketing. Quello che emerge con chiarezza è che il performance tracking sta assumendo un ruolo sempre più centrale. I brand prenotano garanzie di reach per assicurarsi che l’investimento si rifletta in KPI misurabili.

A lungo termine, vedo le aziende puntare di più sulle community — sul legame autentico tra creator e pubblico. Solo così si può creare un valore sostenibile sia per la brand awareness sia per la performance. La reach pura, senza connessione con la community, ha poco impatto.

All’interno dei budget: come sta cambiando la distribuzione dei fondi?

Vediamo che nel 2025 una quota molto maggiore dei budget è destinata ai buyout, cioè all’acquisizione dei diritti sui contenuti dei creator. Questi asset vengono poi spinti con budget media separati, trasformando i contenuti organici in una leva di performance. Questo è particolarmente vero su TikTok, dove è difficile inserire CTA dirette nei contenuti dei creator: buyout e boosting permettono ai brand di aggiungere un invito chiaro all’azione nel video, ottenendo sia effetti di branding che conversioni.

Osserviamo anche un’integrazione crescente dei creator nelle campagne POS (point of sale). La fiducia digitale costruita con le community si estende al mondo fisico attraverso display o touchpoint nei negozi. Non associo più un prodotto solo online al creator, ma lo ritrovo anche su un’esposizione in profumeria che promuove un nuovo mascara — una persona che seguo e di cui mi fido. Questa integrazione online-offline amplifica enormemente l’impatto e rende la distribuzione dei budget molto più strategica.

Qual è l’impatto di strumenti come TikTok Shop o Instagram Shop?

Non credo ci sia il rischio che tutto si sposti unicamente verso la performance. Elementi orientati ai risultati, come i link di affiliazione, sono sempre esistiti nell’influencer marketing — soprattutto nello sportswear. Nel beauty, invece, i brand si affidano più spesso a compensi diretti. La novità non è il concetto, ma il fatto che piattaforme come TikTok e Instagram Shop offrano soluzioni integrate che semplificano l’avvio per creator e brand.

È interessante notare che molti creator usano già questi strumenti in modo strategico e costruiscono addirittura flussi di entrate proprie tramite TikTok Shop. Per me, è un’integrazione utile ma non sostituisce le campagne di branding classiche. Se una marca punta più sulla performance o sul branding dipende molto dalla sua posizione sul mercato.

Se sono un nuovo brand che entra nel mercato, ogni euro investito deve essere misurabile: link affiliati, CTA chiare e social commerce diventano fondamentali. Se invece sono già un brand affermato, con una base di clienti fedeli e l’obiettivo di superare i competitor e restare visibile, non posso fare a meno delle campagne di branding.

Alla fine, si tratta di scegliere se generare vendite a breve termine o costruire valore di marca e fedeltà di community a lungo termine — e spesso servono entrambe le cose.

Come stanno evolvendo i KPI per misurare l’influenza?

Ci sono due livelli di KPI. Da un lato, le metriche classiche — reach, visualizzazioni, like, commenti — funzionano ancora molto bene, perché sono facili da misurare e da analizzare. I clic tramite link di affiliazione o codici sconto sono altrettanto tracciabili e danno ai clienti un senso immediato della performance.

Quello che manca — ed è la sfida più grande — è un modo unificato per misurare l’influenza a lungo termine. Ad esempio: il brand è davvero più rilevante dopo una campagna? La notorietà è cresciuta? Le decisioni d’acquisto sono ancora influenzate mesi dopo? Oggi questo è difficile da valutare. Inoltre, mancano standard trasversali alle piattaforme: ognuna misura in modo diverso e non esiste una “valuta” comune come nei media tradizionali.

Credo che i KPI si sposteranno sempre più verso la misurazione dei legami comunitari: non solo quante persone hanno visto un post, ma che tipo di connessione si è creata, quale fedeltà al brand è stata costruita e come tutto questo impatta sul customer journey. Qui ci servono ancora gli strumenti giusti — e sarà cruciale nei prossimi anni.

È realistico confrontare l’ROI dell’influencer marketing direttamente con altri canali come paid social o retail media?

Solo in parte. L’influencer marketing è multidimensionale. Non riguarda soltanto performance o vendite, ma anche la costruzione di community, la prova sociale e l’impatto di lungo periodo sul brand.

Il paid social o il retail media offrono solitamente KPI immediati e facilmente misurabili, mentre l’influencer marketing produce anche contenuti, aumenta la notorietà e crea fiducia.

Agisce quindi su piani diversi e non è paragonabile uno a uno. Detto questo, vedo sempre più clienti chiedere benchmark, cercando di misurare l’influencer marketing con gli stessi KPI del paid social. In parte funziona — soprattutto nei setup di affiliazione o con i buyout potenziati dal paid push. Ma l’impatto complessivo dell’influencer marketing non si può catturare in quel modo, perché non è solo un canale di performance, ma anche di branding e trust.

Quali sono le sfide più grandi nell’allocazione dei budget?

Una difficoltà enorme è la disparità nella valutazione della reach tra le piattaforme. In molti casi, ingaggiare un grande creator su YouTube costa molto di più che su TikTok, anche se la portata effettiva è simile. Questa differenza è difficile da giustificare senza uno standard comune, e rende complessa la pianificazione dei budget.

In più, i compensi dei creator sono aumentati in modo significativo, soprattutto per i top performer. I brand devono spesso decidere se investire in pochi grandi nomi o distribuire il budget su più creator medi. Entrambe le opzioni hanno pro e contro, ma rendono l’allocazione più complicata.

La misurazione è un’altra sfida. Molti clienti vogliono un ROI chiaro, ma non tutti i successi di campagna si traducono direttamente in vendite. In particolare per il branding e la costruzione di community, mancano strumenti in grado di quantificare il valore reale.

Infine, non vanno sottovalutati i requisiti normativi: regole di etichettatura, protezione dei dati o la gestione dei contenuti generati dall’IA complicano ulteriormente le decisioni di budget, perché i quadri legali devono sempre essere rispettati.

In generale, la difficoltà maggiore resta l’assenza di una “valuta” unificata nell’influencer marketing. Questo crea incertezza e costringe i brand a valutare ogni progetto da capo.

In che modo IA, automazione e strumenti data-driven influenzeranno i budget — in termini di efficienza e scalabilità?

L’IA e l’automazione avranno un impatto in due direzioni.
Primo, in termini di efficienza: gli strumenti data-driven già oggi aiutano a individuare i creator giusti più velocemente, a fare matching delle campagne e a preparare report. Questo fa risparmiare risorse e riduce il lavoro manuale. Anche nella produzione di contenuti l’IA è già utilizzata: generazione di idee, sottotitoli automatici, adattamento dei formati alle diverse piattaforme.

Secondo, in termini di scalabilità: grazie all’IA, le campagne possono essere lanciate a livello internazionale in modo molto più semplice, con contenuti tradotti, localizzati o adattati automaticamente in più versioni. In questo modo, i brand ottengono più reach e più touchpoint con lo stesso budget.

Ma — ed è importante — l’IA non sostituirà i creator. Il vero valore dell’influencer marketing sta nell’autenticità, nei legami comunitari e nella fiducia. L’IA renderà più efficienti i processi, così i budget potranno essere utilizzati in modo più intelligente: meno per lavori manuali, più per compensi ai creator e per collegare in modo strategico branding e performance.

Guardando al 2026: su quali aree dovrebbero concentrarsi i brand per massimizzare performance a breve e impatto a lungo termine?

Individuo due aree principali: le community e la strutturazione professionale dei team marketing.
Non ha senso affidare qualcosa di così cruciale come i social media a uno stagista part-time. Eppure succede spesso: le aziende vogliono legami forti e costruzione di marca, ma lasciano i canali in gestione laterale. I social sono la voce di un brand — richiedono responsabilità chiara, strategia e competenza. I brand devono investire nel team building e considerare i social seriamente come ogni altro ambito core.

Il secondo punto riguarda le community. Troppo spesso i creator vengono scelti solo in base al numero di follower. Vedo spesso profili con due milioni di follower ma appena 20.000 visualizzazioni in media: quella non è una community, è reach vuota. I brand devono valutare da vicino quanto è realmente attiva e fedele un’audience. Il vero legame nasce solo dove c’è fiducia tra creator e community.

Ugualmente importante: investire in partnership di lungo periodo, non in campagne spot. La credibilità e il riconoscimento nascono solo quando un brand è associato in modo coerente agli stessi creator attraverso diversi touchpoint, e la community percepisce questa collaborazione come autentica.

Un altro punto chiave è il riutilizzo e il boosting dei contenuti. I contenuti dei creator non dovrebbero vivere solo sui loro profili: vanno estesi attraverso paid media. Così l’effetto organico si completa con una componente performance che collega branding e conversioni.

Infine, la diversificazione delle piattaforme. I brand devono investire dove si trova davvero il loro pubblico. TikTok oggi è molto forte, ma non è l’unico canale. A seconda del settore, Instagram, YouTube Shorts o persino LinkedIn possono essere più rilevanti. Puntare su un solo canale significa rischiare di perdere una parte dell’audience o di subire pesantemente i cambi di algoritmo.

In sintesi: nel 2026 non conterà quanta reach compri, ma la solidità dei legami che costruisci attraverso le community — e la capacità delle tue strutture interne di mettere in atto questa strategia con coerenza.

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